RIDICULE è un film sulla parola: sul suo potere (per giungere al Re bisogna dimostrarsi abili soprattutto nella pratica dei "jeux des mots", le battute colte oltre che mordaci, che non devono però essere dei volgari "calembours", dei doppi sensi), sul suo fascino, come sulla sua vanità che conduce alla perversione. Ed è proprio di questa, dell'ambiguità di questo gioco brillante quanto fatuamente pericoloso, che sarà vittima il nostro illuminato.

Il film di Leconte - elegante, talvolta incisivo tal altro un po' troppo facilmente vittima di quella "qualità popolare" ricercata dal cinema di casa sua - è fatto come la storia che racconta: vive sui suoi dialoghi intelligenti, divertenti, scanditi da attori impeccabilmente professionali, in situazioni perfettamente fotografate. Ma la sceneggiatura - forse le intenzioni - tendono troppo esplicitamente al piacere. Lo sguardo del regista non riesce a far lievitare veramente nemmeno la situazione più emozionante (il primo incontro con Luigi XVI, ad esempio; il duello, gli eroi di cartapesta sconfitti, uno dopo l'altro dal "ridicolo" generato dal gioco malefico con la parola). Il film non cede alla facilità, perché l'autore è un raffinato; ma alla schematismo si,, al conformismo (dopo cinque minuti abbiamo indovinato tutto) che nascondono una certa banalizzazione, al peggio un moralismo prevedibile e quasi noioso.

Il che rappresenta il colmo: per un film che ambiva essere, prima di ogni altra cosa, distraente.